2003: “Old Boy” è il settimo film del regista sudcoreano Park CHAN-WOOK (1963).
Nel 2004 vince al festival di Cannes il “Grand Prix Speciale della Giuria”; all’Asia Pacific Film festival ed al Grand Bell Awards-South Korea “Miglior Regista”; al British Indipendent Film Awards “Miglior film straniero indipendente” ed alla 37° edizione dello Sitges “Miglior film”.
“Old Boy” è il secondo capitolo di una trilogia chiamata, dal pubblico e non dal regista, la “trilogia della vendetta”, successivo a “Mr. Vendetta” e precedente a “Lady Vendetta”.
Il film inizia con un flash-forward, ouverture abbastanza brusca che non rende conscio lo spettatore del seguito, non è posta dunque per aiutare ma per destabilizzare.
Il protagonista Oh Dae-su, impersonato dall’attore Choi Min-sik, viene rapito una notte. L’uomo resterà rinchiuso in una stanza per quindici anni senza sapere il perché e senza vedere mai nessuno, viene nutrito, drogato, ipnotizzato, lavato, vestito.
“Se mi avessero detto che sarebbe durata quindici anni sarebbe stata più facile da sopportare o no?” Questo il lamento di Dae-su, ogni giorno si allena fisicamente per un’ipotetica vendetta, cerca di trovar una via d’uscita alla sua stanza-prigione, pensa a tutti i torti che ha fatto nella vita. Improvvisamente è libero, si ritrova sopra un tetto dentro una valigia. Dopo 18’ minuti si ha la comprensione del flash-florward iniziale ma ancora non si ha nessuna risposta alla domanda che protagonista e spettatore si pone dall’inizio del film: chi?
Prima di svelare l’intricata trama che unisce vittima e carnefice Park CHAN-WOOK si diverte con notevoli scene di violenza ed impatto come il divorare un polpo vivo e l’estrazione dei denti di una guardia con un martello levachiodi.
Nel film son presenti livelli di disperazione e rabbia crescenti: dall’iniziale incarcerazione qualcosa in Dae-su è cambiato, anch’egli vuole vendetta, vuole scambiare i quindici anni di prigionia con la morte del carnefice Lee Woo-jin, impersonato dall’attore Yu ji-tae. Ma Woo-jin ha un serbo per Dae-su qualcosa d’inumano: ipnotizza anche la figlia naturale di Dae-su lontana dal padre ben quindici anni, riesce a far innamorare i due e svela il tutto quando il protagonista ricorda la sua colpa.
Ma cos’ha fatto Dae-su per meritarsi ciò? Al liceo aveva messo in giro una voce tra i compagni: aveva parlato di una ragazza che aveva rapporti sessuali con compagni di scuola. La ragazza era la sorella di Woo-jin, fratello e amante della sorella. La ragazza si tolse la vita perché presa dalla suggestione dei pettegolezzi pensò di essere incinta.
Le ultime parole di Woo-jin rendono crudo il messaggio d’amore del regista:
“Io e mia sorella ci siamo amati pur sapendo ogni cosa. Ci riuscirete anche voi?”.
Film dal finale profondamente amaro, un perfetto accordo tra regia e sceneggiatura, una poetica apoteosi sulle dinamiche del linguaggio e, tout court, della parola.