Questo scenario non è inevitabile: in Iraq le forze del terrore devono essere sconfitte così come devono essere eliminate le cause che le alimentano e gli procurano sostenitori.
Bisogna arruolare più soldati e poliziotti iracheni, aumentare l’attività delle forze speciali contro la guerriglia, stabilire un governo effettivo al più presto e far scrivere agli iracheni la loro nuova costituzione.
Il modello afghano di nation-building si è dimostrato quasi fallimentare: Hamid Karzai è appena il sindaco di Kabul, i signori della guerra pashtun, tagiki o hazara controllano le varie province e senza truppe ONU ricomincerebbe la guerra civile.
In Iraq, inoltre, sarebbe ingenuo pensare che dopo libere elezioni, vinte naturalmente dalla maggioranza sciita, i curdi e soprattutto i sunniti si farebbero governare stando all’opposizione parlamentare come in una normale democrazia occidentale.
A Ramadi, Tikrit, Mosul e Kirkuk un regime simile non avrebbe autorità e quindi l’unica soluzione è un governo collegiale ed una larga autonomia delle varie regioni.
Il Nord curdo sarebbe di fatto, ma non di diritto, indipendente sotto il controllo dei partiti in armi di Barzani e Talabani; i sunniti e gli sciiti si gestirebbero per conto proprio.
Solo in questo modo l’incendio iracheno potrà essere limitato, ma è un’opzione difficile e la prospettiva più probabile per ora è una lunga e sanguinosa occupazione.
Proprio per questo dall’ONU non si potrà ottenere di più: Kofi Annan sa che l’Iraq odierno non è adatto ai Caschi Blu (anche più della Somalia del 1993) ed inoltre Francia, Germania, India, Egitto, Russia non hanno intenzione di mandare truppe e farsi sparare addosso e la tanto decantata richiesta cessione di controllo dell’Iraq alle Nazioni Unite è velleitaria.
La comunità internazionale è in un vicolo cieco: controllare l’Iraq è difficile e costoso, perderlo sarebbe disastroso e condurrebbe ad uno scontro frontale tra America, coi suoi alleati in Europa ed Asia, e terrorismo internazionale: una riedizione moderna della Guerra dei Trent’anni fatta di attentati terroristici, kamikaze contro i civili, bombardamenti, guerre preventive e repressione.
E questo che si vuole?
La guerra all’Iraq era una scommessa rischiosa, in caso di successo un Iraq libero ed alleato avrebbe cambiato il Medio Oriente, e questo esito può essere ancora raggiunto.
Ma bisogna darsi da fare ed in modo diverso da come si e’ agito finora.