In quest’ultimo notiamo, fin dai tempi più antichi, dei caratteri che lo avvicinano alle
lingue romanze: ad es., la tendenza a lasciare cadere le consonanti finali della
declinazione, e l’uso conseguente di preposizioni per descrivere i vari complementi,
l’introduzione di forme perifrastiche (es. amare habeo, invece del futuro
amabo, donde il nostro amar-ò = amerò), la caduta di vocali e consonanti nel
corso della parola (es., mensem → mesem = mese; oculus → oclus =
occhio; vetulus → vetlus = vecchio), l’uso comune di vocaboli diversi da
quelli usati nelle scritture (es. bucca = bocca, al posto di os;
caballus = cavallo, al posto di equus).
Le lingue romanze si rifanno al
latino parlato, alle forme più popolari e comuni; per questo furono dette, originariamente
volgari, per distinguerle dal Latino letterario che il Medioevo continuava ad usare
nelle scritture e che era la lingua comune dei dotti.